Associazione Comunità Nazaret

Poveri e minorità: lettera aperta all'Associazione Opera S. Maria della Luce

Poveri e minorità

LETTERA APERTA ALL'ASSOCIAZIONE OPERA S. MARIA DELLA LUCE 

“da Vincenzo a Francesco, andata e ritorno”

A Volte si avverte la necessita di rendere partecipi tutti delle proprie gioie.

Ci sembra, di colpo, che un dono ricevuto, una sorpresa inattesa, non sia solo “per te” o “per noi”, ma riguarda tutti. Senza esclusione di nessuno, compresi quelli Che forse non gradiscono esserne partecipi.

Credo che la vera gioia sia una grazia dello Spirito che illumina dentro. Una forza Che spinge a sentirsi attratti da un coraggio che non ti appartiene, come un’illuminazi0ne divina che, nonostante le avversità, ti fa sentire parte di un immenso disegno nel quale ognuno ha la sua parte, la sua funzione da adempiere.

Desidero raggiungere, con queste poche righe, i fratelli dell’Opera S. Maria della Luce, le sorelle della Comunità Ester e i fratelli e sorelle consacrati della Comunità Nazareth che da tempo condividono un cammino di fede iniziato da diversi anni e che sta raggiungendo il cuore di tante persone.

E’ bene perciò ricordare a tutti i nostri primi passi. Alcuni aspetti di Comunità Cristiana e religiosa Che sta facendo progressi oltre ogni aspettativa. L’idea di iniziare un’esperienza religiosa e comunitaria non è nata a caso e neanche studiata a tavolino.

E’ stato il ritrovarsi insieme. Insieme nella stessa vigna. Insieme a condividere l’esperienza del cammino evangelico. Insieme a voler servire la Chiesa e, nella Chiesa, i poveri. Insieme a spezzare il pane eucaristico e il Cibo di ogni giorno. Insieme a maturare le scelte di ogni giorno.

La nostra, oggi possiamo affermarlo con chiarezza, appartiene a un tipo di vita che nasce dall'esperienza. Il formare un’unica realtà cristiana, sacerdotale, religiosa e laica è consequenziale della vita fraterna e comune (che non sono la stessa cosa!) vissuta da noi sacerdoti e fratelli.

L’idea che ci ha accomunati è stata quella di una condivisione di un interesse contro corrente: voler servire i poveri e tra questi gli anziani, gli ammalati, i bambini e i poveri di strada e volerlo fare insieme.

Chi giunge all’eta matura quasi mai è preparato a ritrovarsi carico di anni e di fragilità fisica.

Da giovani sacerdoti abbiamo affrontato la difficoltà e il fascino di estendere il nostro ministero, il più possibile, alle realtà e ai bisogni che ci circondavano.

Forse e per questo che sono stati gli anziani a colpirci per primi. 

Il vecchio è “vecchio” per la società, per il gruppo, per la famiglia. E’ povero due volte. Uno per la sua eta anagrafica e poi perché è “arrivato ormai”. Ha compiuto il suo percorso. Ha finito i gettoni di presenza.

Raramente gli anziani, che ci sforziamo di chiamare nonni e non vecchi, sono considerati, oggi, veri tesori della casa e il contatto con le Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, ci ha messi in moto in tal senso, sensibilizzando giorno dopo giorno, gli occhi, le orecchie, le azioni quotidiane.

Non è scontato vedere delle suore, in questo caso le Figlie della Carità, a volte anch’esse anziane, servire con dedizione i nonni delle case di accoglienza. Durante gli anni del seminario, dicemmo a noi stessi: — Se sarà possibile, in futuro, apriremo una casa di riposo con lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli-.

Così, le Figlie della Carità, per diverso tempo, sono state le nostre maestre. Ed esse, con tanta premura, ci hanno mostrato e dimostrato che servire gli anziani, e in genere i poveri, era una delle cose più belle Che un giovane sacerdote potesse fare. 

San Vincenzo de’ Paoli, nostro ispiratore e patrono, attraverso le sue Figlie delle Carità, è entrato nella nostra mente con dolcezza e forza, con cautela e con veemenza, con tenerezza e ardore.

Potremmo fare un elenco di Figlie delle Carità che ci hanno accompagnato dalla fine degli anni ’7O fino ad oggi. Una schiera di maestre di vita, un'accademia permanente di qualità che non abbiamo trovato da nessuna altra parte: servire i poveri, rovesciando la “piramide sociale” come San Vincenzo ha fatto. I poveri che stanno alla base delle fasce sociali di ogni dove, si ritrovano, in virtù “dell’amore di Cristo che spinge” (Cfr 2 Cor 5,l4), al vertice della tensione apostolica. Quella di uno dei più autentici testimoni della carità.

Dio sia lodato. Operare con Cristo e per Cristo, raggiungere il povero e stata sempre la nostra principale attrattiva e con gli immensi limiti che ci hanno accompagnato e ci fanno tuttora compagnia, intendiamo continuare il nostro cammino, cercando di trasmettere a chi è venuto dopo di noi e a chi verrà, che non esiste un amore più grande di quello di chi offre la vita per il sollievo di chi è ultimo.

Il tempo, il meraviglioso e frettoloso tempo, indica sempre la pista del lavoro compiuto e da compiere.

Siamo giunti cosi a considerare altri aspetti.

Vivere con la causa dei poveri nella mente non è facile. Non basta.

Ci si è chiesti: siamo nati per servire i poveri dunque? No. Certamente.

E’ Gesù Cristo il centro di tutto. Lui, Luce del mondo. E a Lui e per Lui per mezzo della Sua dolcissima Madre

 L'Opera S. Maria della Luce ha un principale scopo quello dell’evangelizzazione.

Nelle Costituzioni dell’Opera S. Maria della Luce e nello Statuto della Comunità Nazareth l’obiettivo da raggiungere è tripartito chiaramente: l'evangelizzazione, la vita fraterna e il servizio ai poveri.

Ma certo che la prima preoccupazione di chi serve il Vangelo e quella di “evangelizzare i poveri”. Nei poveri, evangelicamente parlando, vanno intesi tutti gli uomini. I poveri in spirito (Mt 5,20; LC 6,20), gli umili innalzati, affamati (LC l,46). Riconoscerli e prendersi cura di essi e l’essenza della vita evangelica. 

Una vita apostolica senza l’attenzione agli ultimi è inutile e sterile.

Cosa annunci? A chi annunci? Bronzi che tintinnano e risuonano! (cfr l Cor l3,l).

Un vero servizio ai poveri non può prescindere da un sano guardarsi dentro e sapersi guardare dentro con l’onesta più profonda, come raccomandava Teresa di Calcutta, è un sapiente esercizio quotidiano.

Sorelle e fratelli dell’opera siamo stati chiamati a un compito non semplice, in quanto tutto ciò presuppone una cura di se stessi, più di quanto non immaginiamo.

Non ci si può improvvisare evangelizzatori e servi dei poveri se non abbiamo chiara l’idea di essere discepoli a tempo pieno e permanentemente. Gli altri sono tutti maestri. Il dovere principale e: imparare da tutti e ovunque.

Non a caso San Vincenzo de’ Paoli sosteneva che i preti della missione erano gli ultimi, non i migliori della classe e incoraggiava sempre le Figlie della Carità, definendole serve dei poveri. 

Pensare e saper pensare a se stessi, dunque.

Tale ragione ci ha spinti, a bussare alla porta dell’umiltà di Francesco di Assisi. Non certo per accrescere potenzialità di idee o di carismi.

Dai grandi, del resto, si deve sempre imparare tutto.

La minorità, la Signora Minorità, si e fatta avanti e con prepotenza si e imposta ai nostri cuori. Non solo nel sentirsi minori, ma nel valorizzare e impreziosire il piccolo che è in me, il piccolo che è in ogni fratello. Senza disprezzare niente del mio essere. Senza disprezzare niente dell’altro. Si rende necessaria quindi una lettura misericordiosa di se stessi come Gesù ci chiede nel vangelo: “amerai il prossimo tuo come re stesso” (Mt 22,36).

In quella minorità che scopriamo meraviglia. In quella minorità mia e del mio prossimo che affonderanno le radici di una pianta nuova, amandosi e senza scartare niente di se stessi e degli altri. Per dirla con San’Anselmo: “Dio non viene a colmare le mie carenze: egli dimora in esse”.

Un invito a tutti i fratelli e sorelle della nostra comunità l’invito diviene esplicito: Servendo siamo invitati ad amarci. A saperci amare. Così saremo in grado di dare maggior forza all’amore Verso il fratello.

Minori, servi e minori.

Un itinerario da compiere senza stancarsi. Da Vincenzo a Francesco dunque: un’andata e ritorno verso il Cielo. 

 

Collelungo, 27 settembre - 4 ottobre 20l3

Con tanto affetto

don ruggero